Distorsione della caviglia
La distorsione della caviglia può essere definita come una temporanea perdita di contatto delle superfici articolari che compongono la caviglia, con possibili lesioni associate dei legamenti, tendini, cartilagini articolari, talvolta accompagnate da fratture ossee.
Questo trauma si verifica quando l’articolazione è forzatamente portata ad andare oltre il proprio range di movimento.
Epidemiologia
La distorsione della caviglia è l’infortunio più frequente tra gli sportivi, amatoriali e non, soprattutto tra i runner, nella pallavolo, pallacanestro, lotta e atletica. Anche la popolazione generale è molto interessata da questo tipo di infortunio, e le distorsioni di caviglia rappresentano circa il 2-5% degli accessi ai Pronto Soccorso.
Solo in Italia si verificano ogni giorno mediamente 5.000 casi.
Manifestazioni cliniche
Nella maggioranza dei casi, la distorsione è causata da un movimento di eccessiva supinazione del piede (meccanismo di inversione) che coinvolge i legamenti del comparto laterale, che sono tre e hanno origine a livello del malleolo peroneale (il malleolo laterale); da qui, due legamenti raggiungono l’astragalo (il legamento peroneo-astragalico, o talo-fibulare anteriore e il legamento peroneo-astragalico, o talo-fibulare posteriore), e un legamento raggiunge il calcagno (il legamento calcaneo-fibulare, detto anche peroneo-calcaneare).
Il trauma in inversione di caviglia (meccanismo traumatologico più frequente) lesiona i legamenti laterali, interessando in genere il legamento peroneo-astragalico anteriore, successivamente il peroneo-calcaneare, e, nei casi più gravi, anche il peroneo-astragalico posteriore. L’inversione può anche causare fratture del domo astragalico, con o senza una distorsione della caviglia.
I legamenti del comparto mediale sono invece quattro, detti anche “deltoidei”, e hanno origine a livello del malleolo tibiale (o malleolo mediale). Due di questi raggiungono l’astragalo (il legamento talo-tibiale anteriore e il legamento talo-tibiale posteriore), uno il calcagno (legamento tibio-calcaneale) e uno l’osso navicolare (il legamento tibio-navicolare).
Il movimento di eversione (pronazione del piede verso l’esterno), stressa l’articolazione medialmente. Questo stress eccessivo può essere più facilmente causa di una frattura da avulsione del malleolo mediale, piuttosto che di una distorsione del legamento, poiché il legamento deltoideo è molto forte.
L’eversione comprime anche l’articolazione lateralmente; questa compressione, spesso in combinazione con la flessione dorsale del piede, può causare la frattura del perone distale, o può lesionare la sindesmosi tra la tibia e il perone prossimale (la cosiddetta “distorsione alta” della caviglia).
Diagnosi differenziali
La diagnosi differenziale deve tener conto della possibile presenza di altre lesioni traumatiche che possono presentarsi in modo simile al trauma distorsivo, come per esempio le fratture da avulsione della base del V osso metatarsale (spesso associata a un trauma in inversione che determina schiacciamento), le fratture del domo astragalico, le fratture del processo anteriore del calcagno e le lesioni tendinee, tipicamente del tendine di Achille, che possono causare sintomi talvolta sovrapponibili.
Le cosiddette fratture del ballerino (o pseudo-Jones), cioè le fratture della base del V osso metatarsale, avvengono più tipicamente in seguito a lesione da schiacciamento, o quando una forza distorsiva causa l’avulsione del tendine del peroneo breve.
A volte le forze di eversione sono trasmesse lungo il perone, fratturandone la testa appena sotto il ginocchio (la cosiddetta frattura di Maisonneuve).
Classificazioni
Le distorsioni di caviglia si presentano tipicamente con dolore, calore, tumefazione dell’articolazione, impotenza funzionale e impossibilità o difficoltà al carico, talora associati a spasmi muscolari.
La localizzazione del dolore dipende dal meccanismo traumatologico, e quindi dalla sede della lesione: nelle distorsioni da inversione generalmente il dolore è accentuato nella regione anterolaterale della caviglia, nelle lesioni da eversione il dolore è massimo sopra il legamento deltoideo; nelle distorsioni di terzo grado (lacerazioni complete, che sovente coinvolgono i legamenti mediale e laterale), l’algia è spesso diffusa a tutta l’articolazione (a volte la caviglia appare a forma di uovo).
Negli anni sono state proposte diverse classificazioni delle distorsioni di caviglia. Una delle più utilizzate tiene in considerazione il tilt astragalico:
- Grado 0: tilt astragalico inferiore a 8°, non rotture legamentose
- Grado 1: tilt astragalico (10°-20°), rottura legamento peroneo-astragalico anteriore
- Grado 2: tilt astragalico (20°-30°), rottura legamento peroneo-astragalico anteriore e peroneo-calcaneare
- Grado 3: tilt astragalico superiore a 30°, rottura di tre legamenti.
Altri autori preferiscono invece suddividere i traumi distorsivi in base a soli tre gradi di gravità (Clanton, 1999):
- Grado 1: lesione parziale di un legamento, tumefazione, dolore, sospensione dell’attività sportiva
- Grado 2: lesione parziale di uno o più legamenti, tumefazione, dolore con instabilità articolare, sospensione dell’attività sportiva
- Grado 3: lesione totale di uno o più legamenti, tumefazione, dolore grave, instabilità articolare, abbandono dell’attività sportiva.
Una classificazione più completa, sovente utilizzata nella pratica clinica, suddivide le distorsioni in tre gradi, prendendo in considerazione anche gli esiti funzionali della distorsione:
- Grado 1: distorsione lieve, risultata dall’allungamento dei legamenti senza lesione macroscopica; piccolo gonfiore; nessuna instabilità meccanica all’esame clinico; nessuna perdita di funzione o movimento
- Grado 2: distorsione moderata, lesione macroscopica parziale dei legamenti, moderato gonfiore, ecchimosi e debolezza; instabilità da lieve a moderata; limitazione di movimento; dolore moderato al carico e durante la deambulazione
- Grado 3: distorsione grave, rottura completa dei legamenti; forte gonfiore, ecchimosi ed elevato dolore; significativa instabilità meccanica; significativa perdita di funzionalità e movimento; incapacità di caricare l’arto.
Diagnosi
L’esame obiettivo della caviglia comprende le prove di stress, per valutare l’integrità dei legamenti. Tuttavia, se i pazienti hanno marcato dolore, gonfiore o contrattura, l’esame è in genere ritardato fino a che le radiografie escludano eventuali fratture. Inoltre, l’edema e la contrattura possono rendere la stabilità articolare difficile da valutare; pertanto, è utile un nuovo esame a distanza di qualche giorno.
La caviglia può essere immobilizzata sino a quando l’esame clinico sarà possibile.
Il paziente viene osservato mentre cammina, ma solo se non vi sono lesioni gravi che potrebbero essere aggravate o complicate dal peso.
La caviglia viene ispezionata per deformità, gonfiore, discromie della cute, aumento di calore, atrofia muscolare e asimmetrie con l’arto controlaterale. I muscoli inferiori delle gambe vengono ispezionati ricercando eventuali ipotonotrofismi, in particolare del tricipite surale e dei muscoli peronieri.
La palpazione per identificare le zone di dolorabilità è eseguita dapprima sulle ossa e poi sui principali legamenti, e ciò può aiutare a discriminare la lesione ossea dalla lesione legamentosa.
Test del cassetto anteriore
Il Test del Cassetto Anteriore, a livello della caviglia, è eseguito per valutare la stabilità del legamento peroneo-astragalico anteriore e quindi aiuta a differenziare tra il II e il III grado di una distorsione legamentosa laterale. Per questo test, i pazienti siedono o si sdraiano supini con il ginocchio appena flesso; una delle mani dell’operatore previene il movimento in avanti della parte distale anteriore della tibia, mentre con l’altra mano avvolge il calcagno, spingendolo anteriormente. Lo scivolamento in avanti del piede indica una lacerazione di terzo grado. Utile confrontare il risultato del test della caviglia affetta, ripetendolo sulla caviglia controlaterale sana.
Talar Tilt Test
Il Talar Tilt Test (test di prono-supinazione dell’astragalo), cerca di valutare l’angolo descritto dal plafond tibiale (cioè dalla superficie articolare della tibia, ovvero la volta dell’articolazione talo-crurale) e la cupola dell’astragalo quando la caviglia è in inversione (ci dà quindi maggiori informazioni sulla stabilità del legamento peroneo-calcaneare). Esiste ampia variabilità, con valori normali che vanno da 5° a 23°; anche in questo caso deve essere esaminata la caviglia opposta per confronto. Un test positivo è definito come una differenza di 6° tra caviglia sana e quella interessata dalla lesione; a causa dell’ampio margine di variabilità, l’affidabilità di questo test è scarsa.
Test di Stress in Rotazione Esterna
Il Test di Stress in Rotazione Esterna può dimostrare l’integrità dei legamenti sindesmotici (tra tibia e fibula). Il paziente si siede con il ginocchio flesso a 90°, il piede viene afferrato delicatamente e ruotato lateralmente con la caviglia bloccata in posizione neutra. Un risultato positivo del test si verifica quando il paziente ha dolore sulla sindesmosi. Il test di rotazione esterna ha una sensibilità del 20% e una specificità dell’84,8%.
Una variazione del test di rotazione esterna è il test di Kleiger, che può dimostrare l’integrità del legamento deltoideo. Il paziente si siede con il ginocchio flesso a 90°. Il piede deve essere rilassato e non in carico, viene afferrato delicatamente e ruotato lateralmente. Un risultato positivo del test si verifica quando il paziente ha dolore medialmente e lateralmente.
L’astragalo può allontanarsi eccessivamente dal malleolo mediale, indicando una lacerazione del legamento deltoideo (importante anche qui il confronto con il legamento deltoideo della caviglia sana).
Test di compressione
Altro test per valutare la sindesmosi tibio-fibulare è il test di compressione: con il paziente seduto sul lettino e le ginocchia flesse a 90°, si procede a comprimere delicatamente la gamba a metà polpaccio. Se la manovra origina dolore a livello della caviglia, va sospettata una lesione alla sindesmosi tibio-peroneale (“distorsione alta” di caviglia).
Test di Thompson
Per verificare le rotture del tendine di Achille, si esegue il test di Thompson. Per questo test, l’esaminatore stringe i muscoli del polpaccio mentre il paziente è prono. L’assenza della normale flessione plantare con questa manovra suggerisce una lacerazione completa o funzionalmente significativa.
Esame radiografico
Dopo un’attenta valutazione clinica, comprendente l’analisi del movimento biomeccanico che ha causato il trauma, può essere dirimente l’esecuzione di una radiografia in carico, che, nel caso di una distorsione alta, includa, oltre il piede e la caviglia, anche la tibia ed il perone.
I Criteri o Regole di Ottawa permettono di stabilire se v’è indicazione o meno all’esecuzione dell’esame radiologico. In particolare, per stabilire se sia necessaria effettuare le radiografie alla caviglia, vi deve essere la presenza di dolore in zona malleolare, associato ad almeno uno dei seguenti:
- Dolore osseo alla palpazione/pressione dei 6 cm distali della tibia, incluso il malleolo interno
- Dolore osseo alla palpazione/pressione dei 6 cm distali della fibula, incluso il malleolo interno
- Incapacità di compiere quattro passi completi.
Per stabilire invece se sia necessaria effettuare le radiografie al piede, vi deve essere la presenza di dolore nella zona del mesopiede, associato ad almeno uno dei seguenti:
- Dolore osseo alla palpazione/pressione della base del V osso metatarsale
- Dolore osseo alla palpazione/pressione dell’osso navicolare
- Incapacità di compiere quattro passi completi.
Oltre alle proiezioni standard, può essere utile la proiezione di Saltzman (con inclinazione del piede a 20°), che ci permette di valutare il rapporto tra caviglia e calcagno.
Altre tecniche di diagnostica per immagini
Utile complemento d’indagine è l’esame ecotomografico, che permette di studiare i legamenti, i tendini e la capsula articolare della caviglia, nonché di visualizzare eventuali soluzioni di continuità del profilo della corticale ossea dei segmenti scheletrici presi in esame.
Anche la Risonanza Magnetica ha un ruolo importante, dacché permette di valutare l’eventuale presenza di lesioni cartilaginee. Queste possono apparire più estese, a causa dell’edema osseo che la risonanza evidenzia in modo particolare. Le lesioni relative alla cartilagine possono essere limitate al tessuto stesso o coinvolgere l’osso spongioso sottostante, determinando quella che viene definita lesione osteocondrale, circostante l’area di lesione.
Per meglio delineare l’estensione della lesione cartilaginea, un completamento diagnostico rilevante è dato dalla TAC: essa ci permette infatti di evidenziare in modo ancora può preciso, rispetto alla risonanza, i margini della lesione osteocondrale, per capirne le reali dimensioni e la sua profondità.
Trattamento
Dopo un corretto inquadramento diagnostico da parte del medico specialista (Fisiatra o Ortopedico), è importante iniziare un protocollo riabilitativo adeguato, volto a un graduale recupero della functio laesa.
La maggior parte dei traumi distorsivi possono essere trattati con successo senza la necessità di interventi chirurgici, riservando questi ultimi solamente ai casi più gravi, e/o qualora vi sia stato un fallimento nell’approccio conservativo.
L’immobilizzazione, nella fase iniziale dopo il trauma, è importante per proteggere la caviglia, evitando movimenti che possano aumentare il dolore, e talora peggiorare la lesione. In distorsioni di grado 2 è consigliabile un tutore pneumatico bivalva per tre settimane, mentre nel grado 3 potrebbe essere necessaria un’immobilizzazione con tutore di tipo “walker” o gambaletto gessato (per due settimane) e carico parziale con due stampelle. L’utilizzo di stampelle canadesi nei primi giorni dopo il trauma è consigliato per ridurre il carico, e conseguentemente il dolore durante la deambulazione.
Protocolli di trattamento
Negli ultimi anni si è assistito a un’evoluzione dei protocolli di trattamento delle lesioni muscolo-scheletriche: da I.C.E. a R.I.C.E., indi P.R.I.C.E., e infine P.O.L.I.C.E.
P.R.I.C.E. sta a indicare: Protezione, Riposo, ghiaccio (Ice), Compressione, Elevazione; mentre nel protocollo P.O.L.I.C.E. il riposo assoluto è sostituito dal carico ottimale (optimal load). Ciò ribadisce che l’immobilizzazione deve essere mantenuta per il minor tempo possibile, per cui si consiglia una precoce mobilizzazione e una reintroduzione graduale del carico.
PEACE & LOVE
Il British Journal of Sport Medicine, nel 2019, ha promulgato una nuova raccomandazione sul trattamento in acuto di questo tipo di lesioni, dandole il nome suggestivo di “PEACE & LOVE” (acronimo di Protection, Elevation, Avoid anti-inflammatories, Compression, Education, e di Load, Optimism, Vascularisation, Exercise).
La principale novità è la raccomandazione al non utilizzo di farmaci anti-infiammatori, anche se il loro impiego è ancora prescritto in alcune linee guida, soprattutto nelle fasi iniziali (di pari passo con la scomparsa della raccomandazione a utilizzare il ghiaccio, se non in fase iper-acuta, perché alla lunga entrambi allungherebbero i tempi di guarigione della lesione).
Nelle fasi iniziali la crioterapia, con ghiaccio o sacchetti refrigerati, deve essere applicata più volte nell’arco della giornata, per periodi 15 minuti, a intervalli di circa 60 minuti.
La Compressione avviene tramite il confezionamento di apposito bendaggio funzionale, specificatamente elasto-compressivo, per aiutare a ridurre la formazione dell’edema e della tumefazione, e stabilizzante, che preservi la struttura anatomica, creando uno stato funzionale di bassa tensione. Può essere altresì valida l’associazione con integratori e/o nutraceutici, a scopo anti-edemigeno o fibrinolitico; tra le molecole più utilizzate ricordiamo, a titolo non esaustivo, la diosmina, la bromelina e l’escina.
Maggiore enfasi viene posta sulla fase del post acuto (LOVE), dove la L di Load sta per “carico”, cioè caricare i tessuti, con un approccio attivo, movimento ed esercizi, in maniera precoce, non appena i sintomi lo consentano. Ciò permetterebbe di migliorare la tolleranza e la capacità di assorbire lo stress meccanico da parte di muscoli, tendini e legamenti.
La O di Ottimismo, ci mostra il ruolo chiave che ha il cervello nella riabilitazione: paura, catastrofizzazione e depressione possono essere infatti enormi barriere nel recupero, associandosi a peggiore prognosi e risultati più scarsi, mentre un atteggiamento positivo aiuterà senza dubbio il processo di riabilitazione.
Vascolarizzazione, perché un’attività cardiovascolare, che non provochi dolore, è un punto fondamentale nella gestione dei disturbi muscolo-scheletrici, giacché promuove il flusso sanguigno alle strutture lesionate (e riduce la necessità di terapie farmacologiche).
L’Esercizio è forse il trattamento cardine di queste patologie, con forti evidenze in letteratura a riguardo, sia per una migliore guarigione della lesione, sia per la prevenzione di ricadute. Il dolore dovrà essere da guida nella progressione degli esercizi, che dovranno coinvolgere tutti i parametri di forza, resistenza, propriocezione, coordinazione, cercando di essere specifici sul paziente, considerando anche il meccanismo di infortunio. Se il paziente è un atleta, è necessario porre una mirata attenzione al recupero del gesto tecnico, peculiare dello sport praticato.
Il lavoro di rinforzo stenico ricopre un ruolo fondamentale, in quanto un buon trofismo dei muscoli coinvolti riduce il rischio di lesioni recidivanti, e permette al paziente di riprendere a pieno regime le attività che svolgeva prima dell’incidente; ciò può essere anche svolto in scarico, in acqua (idrochinesiterapia); il lavoro in piscina è particolarmente indicato nelle fasi precoci della riabilitazione motoria.
Particolare enfasi dovrebbe essere rivolta alla rieducazione propriocettiva, dato che, nelle distorsioni di caviglia, si assiste a una serie di eventi tra loro collegati che porta in ultimo, a una riduzione del controllo propriocettivo (la capacità di conoscere con esattezza la posizione di una parte del corpo, in questo caso la caviglia, nello spazio che ci circonda).
Il trauma molto rapidamente porta a perdita della funzione, ma non altrettanto rapidamente questa può essere recuperata: è necessario rieducare tutti gli anelli della catena, propriocettori e cervello compreso, rieducando anche il sistema nervoso, ed è per questo che sarebbe più congruo parlare di riabilitazione neuro-motoria, piuttosto che di sola riabilitazione motoria.
Gli esercizi di propriocezione mirano anche al recupero, se non presente, di un’equa distribuzione del carico sugli arti inferiori. Si possono proporre esercizi su superfici instabili, come i piani circolari, le tavolette quadrate e le semisfere. Il paziente deve imparare a mantenere l’equilibrio con semplici movimenti delle caviglie, inizialmente ad occhi aperti e con l’aiuto del terapista, successivamente senza aiuto e senza il controllo visivo. Il lavoro prosegue poi in monopodalica sia sull’arto leso sia su quello sano. In questa fase il terapista può aiutare il paziente, o destabilizzarlo con delle spinte quando ha raggiunto un buon controllo dell’equilibrio.
Quando il paziente ha recuperato una buona deambulazione si procede con l’eseguire un percorso propriocettivo composto da cuscini che hanno una diversa consistenza e deformabilità, in modo da adattare il passo e stimolare i recettori propriocettivi durante la camminata su un terreno non omogeneo.
Terapia fisica strumentale
Il ruolo della terapia fisica strumentale nel trattamento di questa patologia è controverso, essendovi evidenze scientifiche a volte discordanti sul loro impiego; per questo motivo non ci soffermeremo approfonditamente su di esse, essendo meritevoli di un ben più ampio ragionamento complessivo a parte, che esula dalle mire di questo articolo.
Le principali apparecchiature utilizzate sfruttano diverse fonti fisiche di energia; può essere applicata la laserterapia ad alta potenza, la terapia di biostimolazione a trasferimento capacitivo e resistivo (comunemente nota come diatermia, o “Tecar” terapia), la magnetoterapia, l’ultrasuonoterapia.
Questo elenco non è esaustivo, ma comprende la maggior parte delle terapie fisiche comunemente e tipicamente prescritte dal medico specialista in medicina fisica e riabilitativa, il fisiatra.
Il razionale di tali terapie è solitamente giustificato dall’effetto antalgico, antiflogistico, antiedemigeno, e/o dal miglioramento della vascolarizzazione e del microcircolo, che permettono una migliore e più pronta guarigione della lesione.
Tali mezzi fisici vengono spesso integrati con tecniche manuali, come il massaggio linfodrenante, e delicate mobilizzazioni che hanno lo scopo di migliorare il drenaggio e la mobilità dei tessuti.
Trattamenti infiltrativi
L’utilizzo di terapie infiltrative nelle distorsioni di caviglia è anch’esso oggetto di dibattito e di evidenze scientifiche ancora in evoluzione. L’utilizzo di infiltrazioni intra-articolari della caviglia, con cortisonici e/o acido ialuronico, non trova in questa patologia particolari indicazioni, essendo il loro uso precipuamente riservato ai casi di artrosi di caviglia, piuttosto che nelle distorsioni.
Le tecniche rigenerative più utilizzate comprendono le infiltrazioni con il PRP (plasma arricchito di piastrine), col PRGF (plasma arricchito con fattori di crescita) e con le MSCs (cellule stromali mesenchimali multipotenti). I vantaggi che si possono ottenere grazie alla medicina rigenerativa sono ancora in corso di studio, nonostante alcune di queste tecniche siano utilizzate da più di vent’anni (tuttavia, spesso in ambiti diversi dalla muscolo-scheletrica). Il potenziale di molte di queste tecniche è indubbio, ma nella pratica clinica il risultato dipende molto dalla risposta dell’organismo del paziente, e non è quindi possibile avere la garanzia di un outcome soddisfacente.
Infine è rilevante ricordare, soprattutto ai “non addetti ai lavori”, che il tipo di trattamento da utilizzare non può esulare da un corretto e preciso inquadramento diagnostico, possibile solamente con un’accurata visita medica.
Rifermenti e Approfondimenti
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